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giovedì 14 aprile 2016 Mobbing e straining nel lavoro dipendente

Mobbing e straining: con la sentenza n. 3291 del 19 febbraio 2016 la Cassazione Civile Sezione lavoro fa chiarezza. Dall’inglese to strain, forzare, tendere, deformare, distorcere, la Corte usa il termine mutuato dalla medicina per configurare una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa.
Nel caso in questione La Corte si esprime su ricorsi e controricorsi incidentali che vede protagonisti due medici, un primario e un dirigente medico e l’azienda ospedaliera per cui prestano servizio per due specifici fatti avvenuti, frutto di una tensione tra i due medici e di un atteggiamento decisamente ostile e svilente del primario nei confronti della M., tanto che hanno comportato la condanna in sede penale del P. per l'atteggiamento ingiurioso tenuto nei riguardi della collega.
La Corte esclude che tali due fatti abbiano dato luogo ad un vero e proprio mobbing, mancando l'elemento della oggettiva "frequenza" della condotta ostile, al di là della soggettiva percezione da parte della M. di una situazione di costante emarginazione. Ma l'esclusione del mobbing e del demansionamento non equivalgono ad esenzione di responsabilità del primario e dell'Azienda, soprattutto considerando che in base all'accertamento del CTU è stato evidenziato un danno biologico del 10% in relazione ad un disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso poi cronicizzato, a causa della situazione disagevole nella quale la M. è stata mandata ad operare.
Il suddetto "stress forzato" può essere provocato appositamente ai danni della vittima con condotte caratterizzate da intenzionalità o discriminazione e può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo. Condizioni che sono tipizzate dalla scienza: attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza), posizione di costante inferiorità percepita come permanente.
Lo straining consiste in una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro. In tutte le suddette ipotesi: se la condotta nociva si realizza con una azione unica ed isolata o comunque in più azioni ma prive di continuità si è in presenza dello straining, che è pur sempre un comportamento che può produrre una situazione stressante, la quale a sua volta può anche causare gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o psichici. Pertanto, pur mancando il requisito della continuità nel tempo della condotta, essa può essere sanzionata in sede civile sempre in applicazione dell'art. 2087 cod. civ. ma può anche dare luogo a fattispecie di reato, se ne ricorrono i presupposti (vedi, per tutte: Cass., 6 Sezione penale, 28 marzo - 3 luglio 2013, n. 28603).
L'Azienda Ospedaliera, dopo il primo episodio ingiurioso, anziché restare sostanzialmente inerte avrebbe dovuto adottare concrete misure e una adeguata vigilanza, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 54 dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 28
La Corte conferma, quindi, la sentenza della Corte d’Appello e riconosce definitivamente il danno biologico al medico che ha subito le azioni di straining.
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